“Buon Anno”

Proprio ora ricordo, benissimo.

Era una domenica mattina e precisamente il primo dicembre 2024. A quei tempi io giovane universitario studiavo all’estero e rientravo dai miei giusto il tempo delle vacanze ed alcuni fine settimana. La mia famiglia era composta dal papà, dalla mamma, due sorelle minori e mio nonno, che stava da noi da quando era rimasto solo. Quella mattina mi alzai prima del solito, mentre i miei ancora dormivano, e stavo preparando colazione. Dopo pochi minuti fui raggiunto da mio nonno che presentava un’aria festosa e sorridente; mi disse: “Buon Anno”. Rimasi attonito; il nonno aveva qualche problema fisico per via dell’età ma la sua testa era sempre stata brillante; persona di ottima cultura e da sempre appassionato alla politica ed allo sport.  Pensai che quel momento potesse essere l’inizio del suo declino. Ma non ebbi il tempo di ordinare il mio pensiero che lui ripeté: “Buon Anno”. Allora con un misto di dolcezza e amarezza dissi: “Nonno, oggi è il primo di dicembre e non il primo gennaio; per il capodanno dobbiamo aspettare ancora un mese”. Ribatté: “Lo so; ma oggi è il primo giorno di Avvento, la prima domenica di Avvento; un tempo speciale che ci porterà a Natale ed insieme questo giorno dà inizio all’intero Anno Liturgico”. A quelle parole capii che c’era qualcosa di buono nel suo dire e mi tornarono a mente parole che avevo sentito a catechesi, ma che avevo poi presto abbandonato all’età di circa 10 anni dopo la mia Prima Comunione. Per me giovane quelle parole non significavano ormai quasi niente.

Mi disse: “Sai, oggi per la chiesa comincia un nuovo anno; noi ripeteremo come sempre le grandi feste della fede: la nascita di Gesù, l’arrivo dei Magi, la Sua morte e Resurrezione, la discesa dello Spirito Santo e così via. Sai, in qualche modo noi riconosciamo un ordine nel tempo, come l’alternarsi del giorno e della notte, il passare delle stagioni, l’alternarsi del tempo del lavoro e della festa e questo nel loro ripetersi anno dopo anno, per un verso sempre uguale e per un verso sempre diverso. Vedi, così facciamo anche con il tempo della fede. Ripetiamo ogni anno le stesse feste, tutti gli anni uguali e tutti gli anni diverse.

San Paolo, un apostolo di Gesù che non ha mai conosciuto Gesù, paragonava in qualche modo questo nostro anno, chiamato poi liturgico, al “Capitolo” (rocchetto, spola), sul quale un tempo le nostre nonne avvolgevano il filo che poi serviva per cucire o per fare maglioni, guanti, piccole coperte e sciarpe.

San Paolo raccontava che il Capitolo è sempre quello; Lui, l’Unico, l’Eterno. Ma quel Capitolo non serve a nulla se su di esso non si annoda un filo. Noi siamo quel filo invitati a fare un giro, ogni anno, attorno a quel Capitolo; all’inizio, ai primissimi giri, quel legame tra il Capitolo ed il suo filo, è fragile, debole; basta un fruscio di vento o un piccolo strappo per separarli e farci tornare da capo; ma quando, anno dopo anno, i giri del filo aumentano ed esso si aggrappa sempre più attorno al Capitolo, allora quel legame si fortifica e quel filo non si sfila più né al primo soffio di vento, né a strappi più violenti e forti. Non lo molla più. Questo è il senso dell’anno liturgico: celebrare ogni anno quelle feste sempre uguali, ma da uomini come noi ogni anno diversi. Quel Capitolo, le feste ripetute ci raccontano l’Amore di Dio per noi, Lui è sempre lì: fermo, sicuro, stabile; ma se io non vivo quelle feste, non faccio il mio giro di filo attorno a Lui, nell’abbraccio della Parola, dell’Eucarestia e dei fratelli, soprattutto dei più poveri, sarà dura che possa restare attaccato a Lui, e sarebbe assolutamente normale che di Lui, dopo un po’ di anni, non mi resti neanche il nome”.

Quel lungo discorso mi apparve strano e pesante, per la verità, ma in qualche modo mi ricordava la bellezza delle feste che vivevo da bambino. E per non apparire così lontano anche da lui risposi: “Ma allora l’anno liturgico sono le feste che ogni anno riviviamo?”

Mi rispose: “Si, ma anche molto di più. Ti ricordi quando eri alla scuola primaria che ti portavo la domenica a vedere la partita? Partivamo da casa con guanti, cappellino e sciarpa dei colori della nostra squadra; appena usciti incontravamo qualcuno nella nostra via che portava gli stessi colori e man mano che ci avviciniamo alla metro, le persone con questi colori aumentavano sempre più; poi partivamo; tutti sullo stesso metro verso l’unica direzione: lo stadio; e sul metro qualcuno intonava canti ed inni della nostra squadra che noi tutti conoscevamo ed ai quali volentieri partecipavamo. Giunti allo stadio come in processione entravamo dalle sue porte e prendevamo il nostro posto. Durante la partita attenti guardavamo e partecipavamo cantando in coro con gli altri, buttandoci tutti in piedi quando arrivava il goal, ed a volte in modo assolutamente ordinato e bello, ci alzavamo e ci sedevamo tutti insieme, fila dopo fila, uno dopo l’altro, per le nostre fantastiche ole. Ti ricordi?”.

Annuii senza parlare. Continuò: “L’anno liturgico è un po’ così; feste che ogni anno ci presentano storie sempre uguali; ma per noi che ogni anno siamo sempre diversi; partecipando a questo gioco noi, ogni anno sempre più ricchi di umanità, diventiamo sempre più ricchi anche di Lui”.

Questa seconda volta il discorso mi apparve più chiaro, quando ormai sentii il caffè borbottare ed il cappuccino era ormai pronto per essere bevuto.

Oggi tre dicembre 2084, primo giorno di Avvento, prima domenica di Avvento, rivedo quel ricordo; oggi nonno sono io: “Buon Anno, amici”.

don Claudio Visconti